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Terre del Norwold
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Prologo
Tomeo scese lentamente, quasi delicatamente dalla sua possente cavalcatura.
La maestosa armatura di platino scintillava superba in quella fredda e tersa
mattina di primo inverno. Da quell’irreale promontorio si sviluppava
tutto il Norwold nella sua statica bellezza. Alla destra la Grande Baia
con la misteriosa isola di Iga; a manca la ridente e febbrile Oceansend;
più avanti, innalzanti in alti pennacchi protesi come arcane cattedrali
tributo a dei dimenticati, i monti della Catena Finale.
Il suo sguardo, velato da giovani lacrime malinconiche, si trattenne sui
Monti di Ghiaccio le cui caldere dell’Arcobaleno di Fuoco sembravano
fissarlo con occhi di brace. La splendida cavalcatura si affiancò al Cavaliere:
“Tomeo, è ora di andare… ”.
L’uomo ammirò il giovane drago d’oro dal possente collo metallico mentre
le auree scaglie si riflettevano al primo sole mattutino. Con gesto affettuoso
poggiò la mano guantata sul dorso del compagno.
“Si amico mio, è tempo di muoversi. Volevo solo vedere, un’ultima volta,
per cosa andiamo a morire…”
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Prima terra: l’arcobaleno di fuoco
“vedi giungere dal fondo della strada un paio di figuri”
“si, ma un paio… quanti?”
“un paio!!”
“si, ma quanti… quattro, cinque! Quanti?”
INTELLIGENZA NANICA
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Oceansend, Regno del Norwold, 1150 PI
Le ultime note, pizzicate dal mio liuto, stagnano nell’aria, accompagnate dal tono profondo e malinconico dell’ultimo verso.
Non ricordo quante volte ho onorato l’amico perduto con il mio canto ma qui, in questa stretta via di Oceansend, queste note, queste parole assumono quasi sostanza, palpabili, grevi di memoria e dolore.
Sono trascorsi poco meno di cinque lustri da quando tutto ebbe inizio proprio dalla porta che mi sta davanti. Ora Tomeo riposa sereno in un luogo celato e anche se sono stato benedetto alla preferenza degli dei, anch’io cedo ai segni del tempo: il mio corpo si sta arcuando e i miei capelli assumono una candida tonalità.
La pesante porta di solida quercia, oramai tarlata, è barrata da due assi. L’insegna di legno, sostenuta da una consunta barra di ferro, è slavata da sole, polvere e umidità.
La scritta è svanita nel tempo; io però la ricordo bene: vermiglia sullo sfondo legno e il disegno, in oro, di tre pretenziosi anelli. “La taverna dei Tre Desideri”… Che nome arrogante per un locale mal frequentato nella parte più malfamata del retro porto di Oceansend.
Tutto è iniziato qui, tanto tempo fa, tanti ricordi fa, lontani ma ancora nitidi.
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I. La taverna dei Tre Desideri
Una tumida foschia saliva le strette vie che collegavano il centro di Oceansend al porto.
Quell’anno l’autunno era giunto in anticipo, freddo e carico di pioggia con locande colme già nelle prime ore crepuscolari.
Anche la taverna dei Tre Desideri, nonostante stipata in un vicolo appartato e dalla pessima reputazione, era affollata, sebbene il celato sole fosse ancora a mezzo pomeriggio.
Il locale consisteva in un grande stanzone con alcuni ampi tavoli, un consunto bancone e una porta che accedeva ad una stanza retrostante.
Carico di boccali nelle sue enormi mani, l’oste Crunch il cardellino, distribuiva birra tra grugniti e sguardi biechi. Aveva braccia possenti, simili a colonne di marmo e il carattere di un drago rosso con le emorroidi…
In un tavolo all’angolo, in disparte, celato dal fumo delle pipe e del cibo, tre individui: un nano un mezz’elfo e un elfo femmina. Sui volti, sui vestiti, sulle calzature e sulle armi si leggevano stanchezza, tante miglia e numerosi pessimi incontri.
Fissavano i boccali posti davanti a loro, pieni di una spumosa birra. Altri boccali al centro del tavolo, segni di una permanenza che durava da parecchio tempo.
Le parole, poche, quasi forzose, sommerse dai pensieri che ognuno di loro condivideva con l’alcool in corpo.
La sera ora invadeva l’aria. I boccali al tavolo aumentavano, insieme ad alcuni vassoi di carne alla brace e piccoli piatti di ortaggi per l’elfa.
Nonostante cibo ed altro alcool gli umori rimanevano ancora tesi e silenziosi mentre la stanchezza rendeva pesanti le palpebre ed assente lo sguardo.
L’oste continuava a distribuire sidro, birra e distillati agli avventori che si stavano stipando.
Man mano che i clienti aumentavano, accresceva il malumore di Crunch.
Il fumo aveva oramai invaso ogni angolo ed ogni fessura del locale, quando una folata di vento e pioggia eruppe in quella pesante coltre. La porta si era spalancata con violenza. Sull’uscio una figura alta, quasi scheletrica, ammantata in una cappa nera. Il viso celato da una pesante sciarpa e da un cappellaccio di peltro. Sulla spalla destra, angoscioso monito, un cucciolo di Cockatrice, torvo e scuro come il padrone.
L’oste guardò il corvino ospite e il suo viso si trasformò in una maschera di sgomento. La figura si avvicinò a Crunch ed entrambi si ritirarono nello scantinato. Dopo alcuni minuti il figuro uscì dallo scantinato. Nelle sue mani una piccola scatola di legno chiaro che, rapidamente, celò all’interno del mantello. Il celere gesto non sfuggì alla vista acuta dell’elfa. Più tardi anche Crunch emerse dallo scantinato con il volto ancora pallido e lo sguardo spento.
Ora la notte progrediva. Alcuni avventori cedettero al sonno direttamente ai tavoli, altri uscirono, altri ancora iniziarono una interminabile discussione sull’inverno incipiente.
La piccola halfling che aiutava l’oste nelle faccende , chiamò più volte il padrone, che si era ritirato nuovamente nello scantinato. Nessuna risposta. Stizzita entrò nel locale. Un aspro urlo sovrastò il vociare della taverna.
La pesante figura di Crunch giaceva a terra, immobile. Gli occhi sbarrati fissavano un remoto terrore, sottolineato dal volto privo di vita.
L’elfa si avvicinò al grande uomo e con delicato gesto chiuse gli occhi dell’oste sul mondo, mormorando frasi di preghiera nella sua musicale lingua.
D’improvviso la taverna perse ogni altro avventore. Anche la sguattera, sbarazzatasi del sudicio grembiule, aveva abbandonato il locale.
Il nano guardò con aria interrogativa i suoi due compagni e con voce gutturale ed infinita perspicacia espresse la storica frase “Ma è morto?!?”. “Geniale! Deduzione brillante!” sorrise l’elfa “lo stabilisci dal fatto che il respiro ha lasciato il suo corpo?”.
“Sarcasmo elfico! No, lo deduco dal fatto che non grugnisce più… E ora? Restiamo a contemplarlo per gli anni a venire o alziamo i tacchi anche noi?”
Hjona, il mezz’elfo, si intromise nella discussione “Mastro nano non sei incuriosito dalla strana dipartita del nostro ospite? Non vi sono segni di colluttazione e il corpo dell’oste non presenta nessun segno o ferita. Ma quest’uomo non sembra portato per una morte naturale… Dalla sua espressione sembra morto di… paura. E quella piccola strana scatola di legno chiaro che il nero figuro ha lestamente celato all’interno del proprio mantello? Si cara, Ilia” proseguì Hjona rivolgendosi all’elfa “anche noi bastardi abbiamo la vista acuta”e continuando “magari, caro nano, quella misteriosa scatola è il motivo della dipartita del povero oste. Magari contiene la chiave per giungere ad un oggetto prezioso o di un favoloso tesoro, magari un tesoro di un drago…”
“Prezioso, tesoro, drago?” Le parole di Hjona avevano acceso la cupidigia del nano “cosa aspettiamo! Cerchiamo lo spaventapasseri, no? Sicuramente è lui che ha fatto secco il povero uomo. Qui giustizia deve essere fatta! Troviamo il bieco e prendiamoci la scatola. Ovviamente in memoria del caro Crunch.”
“Sono sempre costernata dal tuo alto senso di equità mastro Mizar ma…” La frase dell’elfa fu interrotta dall’arrivo di sei guardie del Granducato seguite niente meno che dal Conestabile in persona.
“Orbene” esclamò l’alto ufficiale con voce baritonale che sottolineava la sua tonda figura “abbiamo già brillantemente risolto il mistero. I colpevoli tornano sempre nel luogo del misfatto, no?”.
“No! Direi che stai cercando grosse grosse seccature, piccolo sferico ufficiale” esclamò Mizar serrando a se la pesante ascia nanica.
“Calma amico mio. L’eccellentissimo Conestabile è uomo di legge e di ordine troppo esperto per fermarsi a simili pallide apparenze. La sua sagacia va ben oltre a queste situazioni del tutto fortuite…” Ma il tono ossequioso di Hjona non sembrò sortire l’effetto desiderato.
“Oh, giusto caro amico e la mia sagacia mi suggerisce di continuare questo gradevole colloquio nei miei confortevoli uffici. E, un simile invito, vi consiglio di non osteggiarlo”.
Detto questo fece cenno alle guardie di scortare i tre soggetti.
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II. Interrogatori e inaspettati aiuti
La stanza del Conestabile era opulatamente arredata, satura di oggetti, testimoni delle (improbabili) eroiche gesta dell’ufficiale.
L’aspetto dell’uomo, sebbene adorno di una scintillante armatura dalle pregevoli guarnizioni, risultava sempre tozzo e tondo, figura che mal si conciliava con l’incarico a cui era deputato.
Fuori dalla pesante porta di rovere, rinforzata da borchie di metallo, stazionavano tre guardie armate di alabarde, mentre altre due affiancavano il Conestabile, avvolto in un comodo seggio, posto davanti ad un immenso tavolo di pino nero.
Fronte al tavolo, spossati ed infastiditi, i tre soggetti attendevano pazientemente che il Conestabile finisse di autocelebrare la sua somma perspicacia.
“Allora, cari amici, ricapitoliamo la situazione. Una guardia zonale nota una strana confusione all’esterno della taverna dei Tre Desideri. L’ora è tarda ma dalla locanda escono, anzi fuggono, numerose persone, alcuni urlando che l’oste, cioè Crunch il cardellino, è stato ucciso e gli assassini sono ancora all’interno del locale…
Fortunatamente la guardia, tipo sveglio, suona il corno per allertare altre pattuglie. Con mia grande sagacia io transitavo in zona per procedere alla mia ispezione serale. Ed eccovi qui, colti sul fatto. Mi sembra una ricostruzione limpida ed estremamente logica, no?”
“Già come logicamente dovrei conficcare la mia as…” Hjona interruppe l’irata frase del nano. “Il mio focoso amico, nel suo colorito linguaggio, esimio Signore, voleva intendere che non vi era alcun motivo perché noi facessimo del male all’oste. Non lo conoscevamo ed eravamo nella taverna unicamente per ristorarci. Siamo in questa città unicamente di transito. Avremmo pernottato la notte e ripreso il cammino nella mattinata successiva.”
“Inoltre, signore” aggiunse l’elfa “quale sarebbe il motivo per togliere la vita a quel povero individuo? Rancore? Nessuno di noi lo conosceva. Rapina? Vista la taverna, non certo per denaro! Per cui non vedo motivo per fare del male ad un perfetto sconosciuto.”
Il Conestabile sospirò pesantemente sollevando il tronfio petto “Oh, sono buone argomentazioni. Ma le motivazioni per questo esecrabile gesto saranno certamente reperite dopo che avrete trascorso alcuni giorni nelle nostre accoglienti segrete. Gli esperti eccellono nell’alleggerire gli ospiti dai pesanti sensi di colpa che oscurano ed opprimono le loro anime… Certo, dopo questi trattamenti, alcuni clienti abbisognano di intense cure di valenti cerusici ma la sofferenza dura poco, fortunatamente. Difatti, in breve, dell’ottimo acciaio cala inesorabilmente sul loro tenere collo, ponendo fine alle immani sofferenze. Eh si! Il nostro grande, stimato e venerato re Ikkyu è infinitamente misericordioso… Sia lode al grande re Ikkyu.”
“Mio Signore, prima che la nostra affezionata testa si separi dal corpo, rendendo inservibili braccia, gambe e sensi e, visto la lungimiranza del vostro sovrano e, di conseguenza, dei suoi asserviti, non si potrebbe trovare un compromesso che possa soddisfare la legittima sete di giustizia del Re e lasciare i nostri capi sui rispettivi colli?” Hjona guardò il Conestabile tra speranza e rassegnazione. Quest’ultimo guardò con aria interrogativa il mezz’elfo “quindi, cosa propone?”
“Una soluzione tanto semplice quanto vantaggiosa” continuò incoraggiato Hjona “voi ci concedete una settimana per trovare il vero assassino e noi lo riportiamo in catene, per essere giudicato da sua Eccellenza e, il tutto, accompagnato da un lauto bottino che sarà messo a disposizione della sua onorata persona.”
Alla parola bottino un profondo grugnito eruppe dallo stomaco di Mizar, subito interrotto da un poderoso calcio nello stinco dall’elfa al nano…
Dal Conestabile sgorgò una risata chioccia. “Ed io devo avere fede nella parola d’onore di tre, come dire, avventurieri? Ehi, mezz’elfo, mi ritieni privo di encefalo?”
“No, mio Signore, certamente no! E’ per questo che giureremo con il nostro sangue di mantenere l’impegno assunto. E sua Signoria conosce certamente il valore di questo giuramento!”
“Si!” Il viso del Conestabile assunse un aspetto estremamente grave “Ne sono totalmente consapevole!”
“Pensso che quessto esstremo obbligo non ssia necesssario, mio Signore!”
Tutti gli sguardi dei soggetti all’interno della stanza si concentrarono sulla figura dalla quale proveniva tale dichiarazione.
Un uomo alto, robusto, ammantato di una pesante veste nera si appoggiava ad un lungo e nodoso bastone la cui sommità era sormontata da due serpenti, uno bianco e uno nero, attori l’un l’altro.
Le due guardie serrarono le alabarde in direzione del misterioso ospite. Un gesto del Conestabile, con la laringe occlusa dalla sorpresa, interruppe la loro azione.
“Perdonate l’ingressso teatrale, mio Ssignore, ma temevo di non poter giungere in tempo per recare la mia doverossa e, sspero utile, tesstimonianza” interloquì l’enigmatica figura. “Il mio nome e Sselidor Ssibilescu e vengo da una lontana terra perssa nei Principati Glantriani. Ssono venuto qui per testimoniare che quessti giovani ssono del tutto esstranei alla sspiacevole dipartita dell’osste. Anche io mi trovavo pressso la locanda e possso dichiarare, con esstrema certezza, che questi sono colpevoli ssolamente di esssere più curiossi di altri.”
Il nano osservò il nuovo venuto, mormorando: “ma questa specie di pipistrello l’hanno picchiato da piccolo? E che fa? Gira con uno zaino carico di esse? Ne esiste gente strana da queste parti.”
Il funzionario di Oceansend riprese padronanza della sua favella “Quindi messere Ssibilescu” sottolineando il difetto di pronunzia “spinto da un fervore di giustizia si è introdotto, non so come, nei miei uffici, per rendere testimonianza a favore di questi tre soggetti. Azione davvero lodevole la sua.”
“Una azione dettata unicamente dal ssalvare le tesste di innocenti da una fine, come dire, tagliente. Sse poi ssua Ssignoria vorrà informarssi presso la corte del Granducato, troverà molte perssone che garantiranno ssulla mia asssoluta irreprensibilità” e proseguì “inoltre, qui fuori, ho il conterraneo, messser Lasslo Maijlir anch’egli pressente ai fatti che potrà confermare ciò che ho dichiarato.”
“Accetto la vostra testimonianza, messer Sibilescu ma porterò a fondo le indagini e, ovviamente, assumerò dettagliate informazioni su tutti voi. Noi, ad Oceansend, siamo molto, molto scrupolosi quando investighiamo sulla prematura scomparsa dei nostri concittadini.”
“Di questo non dubito, mio Ssignore” concluse Selidor.
“E ora fuori di qui, tutti!” inveì il Conestabile. “Il mio tempo è estremamente prezioso. Un avvertimento: nessuno di voi lasci il Granducato e voi, messer Sibilescu, in futuro, usi la porta. Il nostro acciaio è buono anche per i colli glantriani!”
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III. Presentazioni e prime indagini
Il greve, oppressivo, palazzo del Conestabile era alle loro spalle e alle loro spalle risultavano, per ora, gli ancor più angusti e sgradevoli sotterranei dell’edificio.
“Ebbene, cari amici” esclamò Sibilescu operando una sgraziata riverenza “io mi sono dettagliatamente pressentato. Pensso che ora ssarebbe premura conosscere i vostri nomi.”
“Io sono Ilia di Lehnaa della Baronia Clenana. Egli è Hjona delle Libere Terre Eliche, e questa possente macchina da guerra è niente di meno che mastro Mizar dei Nani della Montagna.”
“Hai detto bene, elfa! Io sono Mizar della stirpe di Thrim, casata di Thar, fratello di Rizar, primo cugino di Gizmo Terra Bruciata, sesto cugino di Balavar il Pensatore, nonché fraterno amico del nipote del terzo cugino dello zio dell’eccelso nano Grendel.”
“Se hai finito di dare fiato alle trombe e di assordare le orecchie” proseguì l’elfa “vorrei chiedere al nostro illustre salvatore quale misericordioso motivo lo ha spinto a testimoniare a nostro favore. Da queste parti la generosità e l’altruismo sono virtù di cui è rimasta leggenda.”
“Mia ssignora lei dubita della mia ssincerità. Le asssicuro che nesssun tornaconto ha sstimolato questo mio gessto. Ssemplicemente io ero la, pressente, ed ho riferito ciò che i miei occhi hanno visto, anzi, colgo l’occassione nel pressentarvi l’altro tesstimone, nonché mio fraterno amico, ossia Lasslo Maijlir, che ci ssta raggiungendo.”
Un mezz’elfo di bell’aspetto, dai fluenti capelli biondi e dagli intensi occhi verdi, si avvicinò al gruppo, suonando una gioiosa melodia attraverso un flauto finemente lavorato.
Un inchino, stavolta aggraziato, introdusse Laslo il Bardo.
“Musica, inchini, riverenze. Sono stufo di queste idiozie” tuonò Mizar “e ora caro attaccapanni funereo se ci dici il motivo per cui tu e il tuo amico musico, ci avete così solertemente aiutati. Sai, la mia ascia inizia ad accusare strani pruriti…”
“Non adirarti masstro nano. Il tuo acume è pari alla tua irruenza. Ebbene un motivo, oltre naturalmente a quello umanitario, essiste. E grava ssu una piccola sscatola di legno, una piccola sscatola che il misteriosso figuro ha portato con sse dopo aver colloquiato con l’osste…” disse Sselidor. E continuando “ssicuramente quell’oggetto e cosstato la vita al taverniere. Ben preziosso doveva esssere il ssuo contenuto o il ssuo ssignificato. E ssiccome ho vissto che, dei clienti della taverna, eravate, come dire, i più ssagaci, e che gli elfi hanno la vissta esstremamente acuta, ebbene, di certo, senza tessta non potevate essere di aiuto…”
“Aiuto, per cosa?” Hjona guardò dubbioso l’assortita coppia glantriana.
“Mi pare ovvio, miei nuovi compagni” proseguì con tono mellifluo Selidor “rissolvere questo intrigrante enigma!”
Hjona osservò attentamente i due soggetti. “Visto che ci siamo degnamente presentati e pare che ci accomuni lo stesso obbiettivo, almeno temporaneamente, cosa propone mastro Selidor?.
“Giussta ossservazione, caro Hjona. Pensso che nesssuno di noi conosscesse intimamente il povero osste e ssiccome, quassi certamente, non viveva in quella specie di tugurio di taverna, propongo di asssumere informazioni ssulla ssua perssona e… ssulle ssue eventuali attività.”
“Il quartiere della bettola non è un luogo igienico per andare in giro a fare domande… Da quelle parti la gente diventa nervosa quando gli vengono posti quesiti, sopra tutto su argomenti che riguardano un uomo morto!” ribadì dubbiosa Ilia “però magari con un incentivo economico potremmo ottenere qualcosa.”
“Bene! Suggerisco di dividerci” interloquì Hjona “voi due potreste scendere al porto, visto che i maggiori clienti di Crunch erano marinai e portuali; noi ci aggireremo per le vie adiacenti alla taverna, magari parlare con i negozianti o i vicino e trovare l’abitazione di Crunch.”
“E sia! Ma prima di iniziare questa nuova avventura nella parte dei birri, io ho bisogno di riposo e, sopra tutto, di un grande, smisurato boccale di fresca birra nanica, Per la barba dei miei avi: ho tanto sonno da schiantare una dozzina di brande, tanta sete da prosciugare il Gorgo e tanta fame da divorare un Tarrasque.” La dichiarazione del nano non ammetteva repliche!
“Penso che stavolta il nano, nonostante le esagerazioni tipiche della sua razza, abbia ragione” enunciò Ilia, “oramai sta rischiarando. Propongo di riposare per la mattinata e, nel pomeriggio, iniziare le nostre indagini. Siete d’accordo Selidor Sibilescu?”
“Perfettamente lady Ilia. Ci incontreremo un’ora prima del tramonto davanti alla taverna dei Tre Desideri per illusstrare le informazioni. Da buoni compagni, vero?”
“E così sia!” Sentenziò Hjona.
Una nuova e fredda alba ribadiva il concetto di incipiente inverno. I cinque personaggi si divisero, raggiungendo i rispettivi ritiri: mentre i tre compagni guadagnavano un alloggio di fortuna presso l’amico di un conoscente di Hjona i due figuri glantiani non cedettero al sonno e… ma su questo e meglio soprassedere.
Il pomeriggio dipingeva una pesante coltre nebbiosa su Oceansend, riducendo il tutto ad un omogeneo grigiore che sviliva corpo e mente dei suoi abitanti.
Anche i tre avventurieri, sebbene parzialmente rinfrancarti dall’agognato riposo, non sfuggivano a tale regola.
L’indagine iniziò esattamente dalla fine dell’oste, ossia dalla sua taverna. Sul posto, oltre la guardia messa dal Conestabile, (precauzione necessaria per evitare atti di sciacallaggio) era presente anche la sguattera che, ripresasi dallo shock, aveva pensato bene di ritornare al fine di recuperare le sue cose e, magari, riuscire ad acquisire (d’iniziativa) quella liquidazione che, Crunch vivo, sarebbe stata ardua ritirare.
La piccola halfling era molto restia a rilasciare informazioni ma un po’ di moneta sonante fu una cura prodigiosa per la sua vacua memoria.
“Certo che Crunch non abitava qui, in questa topaia, ma in un’altra… di topaia. Dovere prendere la via dei Fabbri e scendendo verso il porto, la seconda a sinistra. E’ una catapecchia con una grande porta verde. Non potete sbagliarvi. Ma attenti alla moglie: è una vera strega, brutta di viso e carattere!”
“Grazie delle informazioni” disse Hjona facendo scivolare nella piccola mano tre monete d’argento davanti ad un mesto viso del nano.
Non fu difficile trovare l’abitazione dell’oste: una autentica stamberga.
Il nano bussò gentilmente all’uscio, facendo soffrire i già cedevoli cardini.
Poco dopo la porta si aprì e una bellissima donna apparve sulla soglia…
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IV. Figlie e consorti
La bocca del nano assunse una forma a cerchio perfetto mentre la pesante ascia scivolò dalla sua mano andando a contundere l’innocente piede di Hjona. Il quale, punto (sul piede), si esibì in una serie di improperi che vagliavano l’interno pantheon umano, nanico, elfico, gnomico ed eventuali piani astrali aggiunti.
La donna, sulla soglia, guardò stupita questo assortito trio, cercando, a stento, di trattenere una solare risata mentre osservava lo zampettare umoristico del mezz’elfo. Nel contempo, la bocca di Mizar, accantonato il geometrico cerchio, si dispiegò in un eccelso sorriso ebete…
“Le vostre signorie desiderano?” la voce della giovane donna era conforme al suo aspetto: uno splendido, morbido velluto…
Mentre Hjona si applicava in peripezie ginniche di notevole destrezza e il volto del nano esprimeva una attività celebrale prossima allo zero, Ilia, scrutando l’umana, chiese con voce piatta: “questa è la dimora di mastro Crunch? Ne cerchiamo la consorte per urgenti negozi.”
“Ma la moglie di Crunch sono io…” rispose candidamente la giovane.
Al che anche la bocca dell’elfa assunse una circonferenza perfetta mentre i suoi due compagni furono assaliti da abnormi, aberranti, insinuosi dubbi sulla loro virilità!
“Perdoni la nostra perplessità” esclamò un claudicante Hjona “ma le descrizioni sulla sua persona non corrispondevano esattamente a ciò che ci aspettavamo.
“Spero non siate rimasti disillusi.”
“No, nonnno, no” l’encefalo del nano dava esili segni di vita.
“Bene! Ora che le aspettative di lor signori sono soddisfatte, io sono Eloise, consorte di Crunch l’oste. Vi sarei grata se potreste declinarmi le vostre identità e i motivi che vi hanno spinto nella mia dimora.”
“Si, sisssi, si” un altro lieve guizzo sul tracciato encefalico del nano.
“Perdonate la nostra indelicatezza, milady. Io sono Ilia della contea Clenana, l’essere zampettante è Hjona delle Terre Eliche e il nano monosillabo è mastro Mizar dei Nani della Montagna.”
“Già, giaggià, gia” le capacità razionali di Mizar raggiunsero un temporaneo picco.
“Ora che siamo buoni conoscenti vi prego di accedere nella mia umile dimora” disse Eloise, scostandosi dall’uscio.
L’interno dell’abitazione non si discordava, come concezione, dall’esterno: l’ambiente era composto da tre locali il cui ordine si contrapponeva, in maniera evidente, alla calda avvenenza della giovane padrona di casa; l’intera abitazione era messa, praticamente, a soqquadro.
“Perdonate la confusione messeri” disse la donna osservando la perplessità degli ospiti “ma sono rimasta assente a lungo e mio marito non è uomo d’ordine…”
“Siamo noi a dovere fare ammenda per questa intrusione, Eloise” il volto di Hjona esprimeva un dubbio che forzava la condizione casalinga dell’abitazione ma si concentrava sulla persona “e perdonate il nostro stupore. Ma in quanto già accennato, le informazioni che ci sono giunte, parlavano di una donna avanti negli anni e di aspetto e carattere affatto piacente. Voi non corrispondente di certo a nessuno di questi canoni.”
“Vi sarei riconoscente se, prima di determinate asserzioni, potreste svelarmi i motivi di questa visita.”
“Milady Eloise ha ragione” disse Ilia rivolgendosi al mezz’elfo (il nano giaceva ancora in uno stato vegetativo avanzato) “dobbiamo comunicare alla consorte di Crunch urgenti ambasciate, direttamente a lei o ad eventuali congiunti.”
“E sia! Penso che queste comunicazioni possano essere rivolte anche alla mia persona. E’ vero! Io non sono la moglie di Crunch, bensì la figlia. E anticipo anche la vostra perplessità: sono stata adottata, o meglio, salvata, tanti tanti anni fa,”
“Figlia? Adottata? Salvata? ” Mizar, con un gesto atletico mentale di notevole ardimento, riuscì a comporre queste tre parole.
“Si mastro nano. La mia è una malinconica storia: vivevo in un villaggio a nord di Oceansend. Eravamo una numerosa famiglia; due genitori, una anziana zia e sei fratelli. Un drago rosso attaccò e distrusse completamente il borgo. Della mia famiglia fui l’unica superstite. Un Cavaliere di Platino, in caccia del drago, mi estrasse dalle macerie più morta che viva. E’ grazie alle sue cure che oggi sono qui. Visto che la mia famiglia non esisteva più, mi prese con se, considerandomi come una figlia di sangue. Non ho mai conosciuto persona più buona e amorevole. Quel Cavaliere era Crunch!”
“Ohibò! Crunch un cavaliere? Un Cavaliere di Platino? Questa si che è una svolta…” il nano perse lo stupore riacquistando l’intelletto (per quanto un nano possa averne…).
“Ebbene è veramente una nuova molto interessante. Avendo visto il suo padre putativo difficilmente si poteva vaticinare che, sotto quell’aspetto burbero ed irascibile, si potesse nascondere un campione del bene e un cuore così generoso.”
“Così buono e generoso” continuò le confidenze, Eloise “che per amore e sicurezza di una bambina, abbandonò la sua missione e il suo ruolo per proteggerla ed allevarla, arrivando a gestire una bettola ad Oceansend e recitando un ruolo che non corrispondeva certo al suo grande animo.”
“Tutte queste notizie rendono alquanto gravoso e pieno di ambasce il nostro compito” intervenne Hjona con voce mesta “Eloise, è con rammarico che devo dirle…”
D’improvviso due figuri comparvero sulla soglia dell’abitazione.
Messer Selidor Sibilescu e il suo sonoro compagno, Laslo Maijlir, sorridevano tesi ai loro nuovi colleghi “vedo che ssiamo giunti alle sstessse conclussioni, cari amici!”
Mentre i cinque soggetti incrociavano sguardi diffidenti, una stridula voce interruppe l’imbarazzante istante.
“Chi siete? Cosa volete? Che fate in casa mia?” le parole dal suono aspro ed astioso provenivano da una femmina umana di mezz’età, dal tozzo corpo sormontato da un grugno arcigno.
L’espressione della donna era assai più ostile e perentoria del tono delle domande. Un tale accento da annientare anche la proprietà affabulatrici di Selidor, il quale, costernato, fissava le fattezze di tale persona.
“Allora? Siete ladri? Esattori? Scrocconi? O amici di quello sfaccendato di mio marito? Vi è andata male! Qui non vi sono preziosi, ne tampoco denaro e, sopra tutto, non si mangia gratis. Quindi! Aria! Se volete sbafare un pranzo ripiegate sulla taverna di Crunch.”
A tal punto un amletico dubbio assalì la mente di Hjona che spostò uno sguardo atterrito rivolto alla megera in uno dubbioso verso Eloise, non trovando però alcuna occhiata di rimando. La giovane era letteralmente scomparsa.
Mizar, emerso dallo stato catatonico, esclamò nuovamente una memorabile locuzione: “perdoni, madama ma è lei la consorte dell’oste Crunch?”
“Certo che sono io e questa è la mia casa e voi non siete stati invitati. Quindi sparite, straccioni!”
Solo allora tutti gli sguardi si concentrarono sul punto ove si trovava Eloise, trovando solo gli occhi, stupiti, di Hjona.
Il mezz’elfo estrasse un profondo sospiro e, rivolgendosi alla ritrovata consorte dell’oste, disse: “signora, abbiamo urgenza di parlarle…”
Mentre le parole fluivano meste dalla bocca di Hjona, il viso della donna passava da una torva espressione ad una dolorosa per la morte del coniuge. Quando il racconto giunse alla ipotetica figlia di Crunch, la donna scosse il capo, dichiarando che ne lei ne l’oste avevano figli naturali e tanto meno adottati. Era sicuramente una persona bugiarda, anche se non riusciva a capire il senso di quella farsa.
Poi, Penelope (il nome della donna) raccontò, con voce interrotta da singhiozzi e gemiti, il passato del marito, confermando, in parte la versione di Eloise: egli era realmente un Cavaliere di Platino ma dopo una intensa vita di paladino, decise di optare per una vecchiaia serena, trovandola nella gestione di un’osteria e nella compagnia di una donna, non bella, ma d’animo semplice e buono.
Data la tarda età, figli erano fuori discussione e l’attività alla taverna assorbiva completamente tempo e mente di Crunch. Lei si occupava della casa, mandando avanti anche un piccolo orto fuori città.
Non aveva idea del nero visitatore che aveva contattato il marito, ne del significato o contenuto della piccola scatola di legno.
La donna raccontò solo di un episodio anomalo: una notte il marito ebbe un sonno agitato e iniziò, nell’incoscienza, a parlare di una piccola scatola, di una statuetta e di un smisurato potere di un drago.
Penelope, incuriosita da queste arcane parole, nei giorni seguenti, chiese lumi alla cognata Berta.
“Cognata Berta” scattò Ilia “Crunch ha, cioè aveva, una sorella”
“Si!” continuò la donna “vive sola in un villaggio a nord di Oceansend. Canapo del Boschetto è il nome del villaggio, a tre giorni di cammino dalla città, verso nord. E’, era, molto unita al fratello. Tutto quello che rimaneva della sua famiglia. Una brava donna, taciturna ma generosa.
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V. Verso il nord
Una sorella dunque! Una sorella molto unita al fratello.
Nel lasciare la recente vedova per una nuova e inattesa tappa, Ilia chiese alla donna se necessitasse di una mano per riordinare l’alloggio. Solo allora Penelope, sprofondata nella mesta notizia, si accorse dell’estremo disordine in cui versava il suo alloggio. Indignata esclamò: “quella vipera! Oltre che bugiarda, anche villanzona” continuando con una serie di grevi improperi nei confronti della misteriosa Eloise.
Gli avventurieri incrociarono uno sguardo d’intesa: il disordine non era sicuramente da imputare ad una temporanea villania ma ad una spasmodica ricerca di qualcosa… ricerca resa, probabilmente, infruttuosa dal loro inaspettato arrivo.
Nuovamente un’umida sera sorprese la città ed i cinque compagni. La ricerca fuori Oceansend (in città le tracce sembravano diventare flebili) sarebbe stata rimandata al giorno seguente.
Evitando giacigli di fortuna, il quinquetto si concesse un maggiore agio in confortevoli dimore in una locanda nella parte alta della città.
La notte avvolse empireo ed oceano.
Il cielo arrossava ad est. Una flebile alba agognava un varco tra le basse e plumbee nubi. I cinque compagni erano già in tenuta di viaggio, rifocillati da una lauta, corposa colazione. Sotto gli occhi sgomenti del locandiere, Mizar assimilò quantitativi di cibo e bevande da sostenere un reggimento di nani in assetto da guerra. All’assunzione seguirono boati pieni di soddisfazione…
La meta, il piccolo villaggio di Canapo del Boschetto, distava tre giorni di celere cammino verso nord. Il locandiere aveva fornito loro dettagliate indicazioni: seguite la strada che da Oceansend si dirige a nord, verso i monti della Catena Finale, dopo due giorni il percorso devierà bruscamente verso est per aggirare una collina alquanto impervia. Superata la collina vedrete un villaggio che si estende tra un fitto bosco e un piccolo lago. Canapo del Boschetto.
Gli avventurieri lasciarono (previa autorizzazione del Conestabile) le mura di Oceansend in una, al fine frizzante, mattina di mezzo autunno. Un teso vento aveva spazzato i nembi, risvegliando un sole vivace.
La via era ben tracciata, mantenuta attiva da un dinamico passaggio. Si sviluppava in linea retta, tagliando geometricamente i vasti campi dell’esteso contado che circondava per miglia e miglia la città. Nel cielo del settentrione si stagliavano, imponenti, le irte cime della Catena Finale, ammantate da nevi perenni.
Il passo cadenzato e i pensieri assorti permettevano di divorare notevoli distanze. Ogni tanto Laslo interrompeva il movimentato silenzio con un componimento. Stranamente la sua musica, oltre ad il corpo allietare l’animo, rinvigoriva il corpo dei compagni, facendo scemare la fatica accumulata.
Al mezzodì solo un fugace banchetto, poi altro cammino.
Giunse la sera. La strada aveva abbandonato i campi messi a coltura addentrandosi in un paesaggio più agreste. Gli alberi, ai lati, si infittivano, rivelando chiome dai caldi colori autunnali.
Una vasta radura accolse il riposo, meritato, dei viandanti: un vivido fuoco e cibo caldo.
Ora la fatica aveva assalito subdola i compagni che, silenti, attorniavano l’invitante falò.
La foresta intorno allo spiazzo appariva quieta anche se silenziosa in maniera anomala. Ma la stanchezza ovattava i sensi dei viaggiatori.
Un rumore secco, di ramo spezzato. Una voce eruppe alle loro spalle: “che gradevole fuoco, veramente invitante”.
I cinque compagni si volsero all’unisono.
L’adrenalina aveva cassato la stanchezza mentre le mani si mossero rapide alle impugnature delle armi.
Un figuro uscì dal cupo della foresta in direzione della pira. Il suo passo era estremamente leggero, l’andatura sicura e morbida. I vestiti denotavano l’appartenenza ad un mondo più selvatico che urbano.
Il soggetto sollevò le mani al di sopra della testa, tenendo le palme ben aperte.
“Calma, amici miei” dichiarò con voce chiara “la foresta è una madre accogliente e generosa ma anch’essa deve inchinarsi alla inflessibilità del clima. Io sono Merol delle Antiche Querce e sono un uomo di pace, sopra tutto verso persone che, magnanime, sarebbero disposte a condividere un fuoco vivace”
“Il fuoco è aperto ad ogni amico insieme a cibo caldo. Il taglio della lama, invece, accoglierà ogni persona ostile, Merol delle Antiche Querce.” Il tono di Mizar era schietto e privo di diplomazia.
“Accetto volentieri fuoco e cibo e declino il taglio della lama. Come ho detto, vengo in pace.”
Si sedette a fianco di Ilia accogliendo, con gratitudine, il pezzo di carne arrosto, fumante, che l’elfa gli porgeva.
“Grazie amici miei. Sono giorni e, sopra tutto, notti che mi aggiro per questa foresta rimediando solo anoressici conigli. O la mia capacità di cacciatore è improvvisamente scemata o questa è la selva meno praticata dell’intero emisfero. Forse la distanza da casa ha ridotto le mie capacità. Ebbene messeri, chi debbo ringraziare per pasto e calore?”
Ad uno ad uno i compagni si presentarono debitamente, tralasciando comunque la motivazione del loro viaggio.
“Sono settimane che mi dirigo verso il sud per raggiungere Oceansend. Mi hanno descritto questa città come un ottimo luogo per essere ingaggiati con lauti compensi. Sono un buon cacciatore e, imbattibile, come cercatore di tracce. Il luogo dove provengo è stato colpito da una serie di carestie e la fame ha spinto molti di noi a cercare fortuna in altri luoghi. Spero che questo lungo cammino sia fruttuoso altrimenti tra poco mi cresceranno orecchie di coniglio a forza di nutrirmi di questi spelacchiati animali…”
“Sicuramente Oceansend è una grande città con miriadi di occasioni. Basta cogliere quella giusta anche se le tentazioni possono portarti a pessimi incontri.” La voce di Hjona aveva un tono di una persona che aveva provato entrambe le esperienze “ma tutto sommato è un luogo per cui vale di fare una gita fuori porta” concluse sorridendo.
“E sopra tutto un luogo in cui un’ottima birra nanica scorre a fiumi. E già questa è una motivazione per affrontare l’ira di un drago nero” dichiarò il nano, svuotando con soddisfazione, il suo ultimo otre.
“Sacre parole mastro nano, sopra tutto nei confronti della birra che tu hai generosamente diviso con i tuoi compagni!” ironizzò Hjona “e visto che l’alcool della cervogia ha sicuramente affinato i tuoi sensi, potresti iniziare il primo turno di guardia.”
“Molto, molto divertente mezz’elfo. Ma noi nani non ci sottraiamo mai ai nostri doveri. Dormite tranquilli compagni miei. La sublime vista, l’eccelso udito e l’indomabilità del miglior nano del Norwold veglieranno sul vostro riposo. ”
“Oh Corellon Larethian. Proteggici dalla modestia della stirpe nanica” esclamò Ilia sdraiandosi all’interno del suo giaciglio, imitata dagli altri.
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VI. Lame nella notte
Le braci di un sopito fuoco spezzavano la coltre di buio, emanando un lieve rossore.
L’attenta vigilanza di mastro Mizar era stata sostituita da quella meno militarizzata di Hjona, non per questo non efficace.
Il mezz’elfo, sebbene assorto in filosofiche elucubrazioni, percepì l’anomalo silenzio che aveva pervaso l’area intorno al campo. Non poteva essere naturale, non poteva essere… Scattò in piedi nel momento in cui una freccia colpì il luogo ove era seduto un istante prima.
“Le armi! Prendete le armi” l’urlo di Hjona era abbastanza perentorio da fare scattare immediatamente i suoi compagni. Il mezz’elfo disperse con un rapido movimento i tizzoni ancora accesi mentre gli altri avevano già impugnato le rispettive armi cercando di ridurre al minimo la loro sagoma.
Altre frecce sibilarono nell’aria incidendo il terreno assai vicino agli avventurieri.
“Sono nel bosco, tutto intorno. Siamo circondati” Merol cercava di analizzare la situazione “e devono essere parecchi, sicuramente più di noi”
“Bene! Più sono, più la mia ascia assaggerà la tenera carne dei loro colli.”
Tipica dichiarazione nanica!
“A questo punto bissogna vederci chiaro…” Selidor Sibilescu estrasse da una bisaccia una manciata di una fine sostanza e dopo aver mormorato insolite aspre parole soffiò sulla polvere, disperdendola nell’aria.
Altre frecce, accompagnate da grugniti.
“Allora andiamo a stanare questi maiali?”
“Pazienza masstro Mizar, pazienza” suggerì Selidor. D’improvviso una sfera di fuoco comparve ad alcuni metri dal campo, in direzione degli aggressori e rotolando verso di essi, iniziò ad incendiare la sterpaglia della radura.
“Ora è più chiaro!” disse sorridendo sarcasticamente il glantriano che seguiva con attenzione l’evoluzione della sfera.
“Li vedo, sono occultati dietro gli alberi: orchetti!!” Merol scoccò una freccia in direzione della foresta: un grugnito più forte fu la conferma della sua eccellente mira.
“Razza bastarda. Per la barba dei miei antenati: alla carica!!”
Roteando l’ascia al di sopra del capo, Mizar della stirpe di Thrim, casata di Thar, superò il fuoco delle sterpi entrando nel bosco.
“Oh sacri dei degli elfi. Ecco che ricomincia…” Ilia, sguainata la spada, corse dietro al compagno.
La sfera continuava a rotolare incendiando erba ed arbusti, ponendo in evidenza le numerose figure, massicce, dalla pelle color grigio verde occultate nella boscaglia.
Ora il combattimento era ridotto ad un corpo a corpo, con i contendenti avvolti da un pesante fumo. La sfera infuocata era scomparsa ma le fiamme avevano raggiunto i rami bassi degli alberi.
L’ascia del nano presentava vistose macchie di un liquido scuro mentre a terra giacevano i cadaveri di tre orchetti.
Merol continuava a scagliare dardi con estrema precisione mentre Ilia e Hjona passavano a fil di spada i loro rispettivi avversari.
Vista la mal parata gli orchetti superstiti volsero le spalle alla battaglia disperdendosi nel folto della selva.
Mizar scagliò la sua ascia centrando la schiena di un fuggitivo “loro non hanno onore e io li uccido senza onore”. L’orchetto stramazzò al suolo senza un lamento.
Merol stava soffocando le ultime lingue di fuoco mentre i due glantriani controllavano che i corpi dei caduti fossero veramente estinti…
Hjona osservò attentamente uno dei due soggetti “mastro Sibilescu lei è un uomo assai interessante. Mi chiedo se la pacatezza delle sue parole e dei suoi comportamenti siano vera espressione del suo animo. Sarei curioso di sapere l’uso quella strana polvere e della misteriosa e quanto mai provvidenziale comparsa di quella sfera di fuoco. Una emanazione davvero notev…”
“Carisssimo Hjona” lo interruppe con un affettato gesto il glantriano “non tediamoci ora con ssterili quessiti o dissquissizioni morali. Ssarebbe molto più fattivo capire sse l’incontro con quessti ssoggetti è sstato fortuito o magari… indirizzato…”
“Questi esseri non hanno cervello, attaccano qualunque cosa si muova per semplice crudeltà. Sono vili, codardi! Animali!” Il tono di Mizar era impastato di rabbia e disprezzo.
“No, masstro nano. Non ssempre quessti sstupidi essseri ssono sspinti da primarie essigenze o ssemplice brutalità. Alcune volte ssono arruolati come prezzolati ssicari. E sse la loro sstrategia e ssagacia peccano vengono bilanciate dall’impiego di più ssoggetti. Come in quessto casso…”
Ilia guardò incuriosita il glantriano “vuol dire che questo incontro, o meglio, imboscata, non è fortuita?”
“Per mio modessto parere non è sstato asssolutamente un incontro cassuale anche perché ogni cadavere controllato aveva con sse una piccola borssa, una piccola borssa con 10 monete d’argento c’aduna. Ciò fa decadere ogni tipo di cassualità… Direi” rispose pensieroso Selidor.
“Ma che importa: casuale, voluto, preparato. Ora i più sono a menar preci al loro maledetto dio e quelli ancora in piedi correranno fino a consumare i polmoni.” dichiarò Mizar pulendo accuratamente la propria ascia.
“Già ma vuol dire anche che qualcuno è informato dei nostri spostamenti; qualcuno che non vuole che raggiungiamo Canapo del Boschetto. E questo vuol anche dire che siamo sulla giusta via” disse Hjona. E rivolgendosi a Merol “mi complimento per la tua prontezza e la tua mira. Hai dato un notevole contributo a preservare la nostra esistenza. Grazie!”
“Dopo aver sfamato un povero viandante, questo era il minimo che potessi fare” rispose l’umano eseguendo un goffo inchino “e se la cosa non disturba un paio di acuti occhi e fini orecchie potrebbero farvi comodo. Tanto Oceansend ha perso ogni attrattiva.”
“Assai comodo amico mio, assai comodo” intervenne Ilia “e penso che anche gli altri ne converranno” ricevendo un cenno d’assenso da ogni componente del gruppo.
Mizar eruppe in un poderoso sbadiglio “non so voi ma io ho intenzione di riprendere una meritata e ristoratrice dormita. Ovviamente dovremmo spostarci un po’: il puzzo di queste bestie è gia nauseante quando sono vivi ma da morti è disgustoso. Basta questo a tenere lontano anche draghi neri nel raggio di dieci miglia.
E questo mise fine alla movimentata notte.
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VII. Perplessità alla meta
Due giorni di intenso cammino. La seconda notte era scivolata tranquilla, traghettando i sei compagni da un umido vespro ad una fresca alba.
La strada aveva perso la sua regolare geometria e la compattezza del primo tratto. Ora si dispiegava sinuosa, evitando selve spinose e piccole pozze d’acqua. La sede, spesso interrotta da grosse fessure, presentava un fondo sconnesso, rallentando la percorrenza del gruppo. La pista era delimitata da una steppa umida la cui monotonia veniva interrotta da macchie di fitta boscaglia. Pochi animali percorrevano queste desolate lande, occultandosi rapidamente alla vista dei viandanti.
Gli incontri erano assai rari, limitati a qualche carro di commercianti o corrieri spronati in direzione di Oceansend.
Nel primo pomeriggio del secondo giorno, un nuovo ferrigno giorno, la strada deviò repentinamente ad est, disegnando una secca curva. Davanti a loro si ergeva una aspra e brulla collina su cui sterili rocce emergevano da un terreno stopposo, incessantemente battuto dal freddo vento del nord. Le poche macchie di colore erano rappresentate da un’erba giallastra, unico segno di vita su quel rilievo assai simile ad un cumulo funerario.
“Ecco l’impervia collina. Dietro dovrebbe estendersi il villaggio di Canapo” dichiarò Ilia fissando la desolata altura.
“Non ho alcuna intenzione di mettermi a scalare quel cumulo di sassi” esclamò seccamente Mizar “continuiamo a percorrere la strada. Entro sera, di buon passo, dovremmo raggiungere il borgo.
Merol concordò con il nano: il superamento della collina non avrebbe di certo accorciato i tempi per raggiungere Canapo.
Il giovane ranger era stato messo al corrente dai suoi nuovi compagni delle loro vicissitudini ad Oceansend e del motivo per cui dovevano raggiungere questo villaggio. Egli aveva aderito, con entusiasmo, a tale missione: con la positiva conclusione di una simile avventura poteva aiutare i congiunti rimasti nella sua terra d’origine.
Era inoltre incuriosito dal comportamento dei due compari glantriani: sempre in disparte e sempre a bisbigliare. Le poche parole scambiate con loro non avevano fatto altro che aumentare il suo interesse. E man mano che passava il tempo i loro visi diventavano sempre più pallidi ed anemici. Scambiò questa impressione con Ilia.
“Saranno particolarmente sensibili alle basse temperature. Vengono da un paese più temperato”
Ma Hjona, percependo i dubbi del giovane, concordò con esso “non penso che sia la provenienza geografica la causa di questo mutamento fisico. Ho notato che impallidiscono nel proseguo del giorno, mentre la notte riacquistano rapidamente un colore normale, sopra tutto dopo aver bevuto quello strano intruglio che preparano ogni sera. Un intruglio che non condividono con nessuno di noi.”
“Magari sono malati e magari quell’intruglio rappresenta la loro medicina. Paese che vai…” disse Ilia, poco interessata al problema.
“Già! Magari. Ma sono convinto che messer Selidor Sibilescu sia un esperto nella manipolazione delle arti magiche. Prima la sua improvvisa manifestazione all’interno dell’ufficio del Conestabile poi la provvidenziale comparsa di quella palla di fuoco. Non è naturale…”
“Un mago può sempre fare comodo. Sopra tutto in situazioni critiche come quella della notte passata”
“Giusto Merol. Ma i negromanti possono essere imprevedibili. Anch’io tratto la magia ma la rispetto e non ne abuso mai. La Natura mi guida nella sua applicazione e nel suo utilizzo. I maghi sono diversi: studiano, approfondiscono, cercano risposte. Per loro essa è uno strumento per aumentare il proprio sapere e potere e non sempre questi fini coincidono con chi vi è accanto…”
Ilia guardò attenta il mezz’elfo “fino ad oggi sono stati di sostegno e leali…”
Merol interruppe l’elfo femmina, dando corpo ai dubbiosi pensieri di Hjona “Sicuramente! Fino ad oggi…”
“Allora? Ci muoviamo! Dobbiamo raggiungere questo maledetto villaggio prima di sera. Sono stufo di coricarmi su un letto di freddi sassi e erba stopposa. Questa notte voglio un giaciglio accogliente non prima di aver sbranato un montone arrosto e svuotato una botte di birra.”
Hjona guardò sorridendo l’irato nano “hai ragione amico mio. Ormai la tua veneranda età non si concilia con certi sforzi prolungati. Sicuramente le tue vecchie ossa mal sopportano ora il gelido contatto con la terra e il peso della tua possente ascia da guerriero grava profondamente sulla tua colonna resa sensibile dal carico di anni. Mio buon nano, questa notte sarà mia premura massaggiare le tue dolenti membra e coccolarti fino a che tu possa raggiungere un giusto sonno ristoratore.
“Maledetto orecchie a mezza punta” gridò Mizar, trattenendo a stento un sorriso “te la do io la vecchiaia. Staccherò di netto la tua inutile testa, la svuoterò e la userò come boccale, riempiendola di spumosa bevanda…”
Lo scherzoso alterco e la vicinanza alla meta avevano pervaso la compagnia di buon umore per cui ripresero il tragitto con notevole passo, sempre rinfrancati da una allegra melodia del bardo Laslo.
Il percorso lasciava l’irta collina sulla sua sinistra, aggirando il versante ad est. Un fiumiciattolo dal fondo sassoso costeggiava la strada chiudendola dal lato destro. Nel corso degli anni e a causa di scarsa manutenzione il corso d’acqua aveva eroso parte della sede stradale e alcuni massi erano precipitati su essa, staccandosi dalla parete collinare. Il risultato era che, a stento, quel tratto di percorso, era transitabile da un carro di piccole dimensioni.
Il nano, aggirando l’ennesimo masso, dichiarò con sarcasmo: “il loro Ikkyu sarà anche un valente sovrano ma dovrebbe porre più attenzione alla gestione delle strade del suo regno. Ma non mi sorprendo, avendo scelto un grasso imbecille come conestabile di Oceansend.”
“Quessta è una sstrada ssecondaria di sscarssa importanza e militarmente inssignificante” intervenne Selidor Sibilescu “non ssottovalutare le capacità e la competenza di governo di re Ikkyu. L’ho conossciuto perssonalmente. E’ una perssona esstremamente affabile e cortesse ma ha uno ssguardo freddo e calcolatore. Inoltre, ssi dice, che ssia un chierico di immane potenza. Non vorrei certo annoverarlo tra i miei avverssari… In quanto a quel ssferico ufficiale anche i re devono sscendere a compromesssi ed accontentare i ssudditi più influenti. Ssicuramente quell’inssignificante uomo ssarà sstato parente o amico di qualche alto dignitario di corte. Oh, ecco il lago…”
Superata l’ennesima curva un lago abbastanza ampio si dispiegava di fronte allo sguardo dei viaggiatori. Nel tenue crepuscolo autunnale il villaggio di Canapo del Boschetto si estendeva tra la sponda nord ovest del bacino lacustre e un folto bosco di castagni e roveri, interrotti dalla chiara colorazione di grandi betulle.
Il borgo si presentava tranquillo e silenzioso…
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VIII. Canapo del Boschetto
Un pallido sole perforava lento diacce nubi adagiate sull’immaginaria riga dell’orizzonte occidentale; i suoi deboli raggi non intiepidivano la visuale del villaggio.
Il gruppo, spossato dalla marcia sostenuta nei giorni precedenti, si avvicinò cauto alle prime costruzioni: era un normale borgo, composto principalmente da casupole in legno e paglia che si dipanavano ai bordi di una larga via in terra battuta. Solo alcune costruzioni presentavano delle parti in pietra. Poche strette viuzze laterali connettevano la strada maestra al lago od, opposte, in direzione del bosco.
Un paio di bambini umani, insieme ad un terzo, mezz’elfo, erano intenti ad un gioco di equilibrio lungo una irreale linea. Nessun adulto.
Un cane, meticcio, di un impossibile colore, iniziò a latrare spasmodicamente alla vista dei pellegrini.
I bambini cessarono immediatamente il gioco, osservando, con curiosità i nuovi venuti. Dietro di loro comparve una figura minuta.
Un umano, assai anziano, curvato dagli anni, venne incontro ai viandanti. La mano destra alzata, il palmo aperto.
“Benvenuti viaggiatori! Che la pace degli dei vi preceda e vi accompagni. Io sono Daneo e mi onoro di essere il borgomastro di questo piccolo e modesto borgo. Raramente abbiamo il privilegio di ricevere un così nutrito numero di ospiti. La strada che conduce in questo luogo è oramai obliata e lontani sono i periodi che mercanti, artigiani, viandanti ed anche soldati ne facevano uso.
Siamo oramai un piccolo e trascurato feudo dell’opulento ducato di Oceansend.
Oh, perdonate la tediosità di un vecchio: dalla polvere delle vostre calzature dovete aver percorso molte miglia e sarete sicuramente stanchi. Sarei onorato se foste miei graditi ospiti nella mia umile dimora”
Lo sguardo dell’anziano era sereno, trasparente e la sua voce, benché debole, aveva un tono amichevole.
Ilia guardò vivamente il borgomastro “grazie messer Daneo per la sua cortese accoglienza. Raramente, nei nostri pellegrinaggi, siamo stati ricevuti con si fatta cordialità. Ma abbiamo percorso tante miglia per trovare una persona: il suo nome è Berta, sorella di Crunch. Abbiamo ambasciate da parte di suo fratello.”
“Oh certo, la buona Berta. Si! Abita in questa zona ma dall’altra parte del lago, oltre una piccola selva. Occorre ancora una buona ora di cammino per raggiungere il luogo e oramai la notte sta avanzando rapidamente e la via da seguire è difficoltosa anche di giorno. Accettate la mia ospitalità, condividerò volentieri con voi il mio desco.”
A quella parola dallo stomaco del nano emersero minacciosi boati.
Hjona sorrise ” penso che il caro nostro nano abbia accettato il cortese invito del nostro ospite senza profferire parola…”
E tutti scoppiarono in una argentina risata.
La casa di Daneo era leggermente più spaziosa delle adiacenti presentando anche numerose parti in muratura. Una ampia sala; all’angolo un camino con un vivido fuoco. Il borgomastro fece accomodare gli ospiti presso una grande tavola, dileguandosi in un locale adiacente da cui, in breve, emersero profumi di erbe aromatiche e pesce.
L’anziano ritornò portando con se un grande paiolo e, dopo aver distribuito ai commensali capienti scodelle le colmò con una calda zuppa di pesce speziato, accompagnato da uno scuro pane rustico.
I sei ospiti mormorarono parole di ringraziamento tuffandosi, grati, nelle scodelle. Mentre i cinque compagni finivano, soddisfatti la loro porzione, il nano, sotto lo sguardo stupito di Daneo, iniziava lietamente la sua terza scodella unitamente ad una notevole micca di pane.
Una notte insolitamente stellata accompagnava le libagioni dei convitati. Con sommo dispiacere di Mizar, il borgomastro aveva terminato la birra ma un buon vinello e sopra tutto un misterioso quanto mai eccellente liquore avevano notevolmente lenito la sofferente mancanza del nano.
Un odoroso fumo di numerose pipe aveva chiuso il semplice ma gustoso pasto serale. Ora Daneo intratteneva gli ospiti narrando la storia del villaggio: nei tempi remoti il borgo era un insediamento vivace, tenuto in gran considerazione anche presso la corte ducale di Oceansend ma anni di carestia e l’impoverimento della fauna lacustre avevano rapidamente degradato le condizioni di vita; molti abitanti se ne erano andati, attratti dai guadagni nelle città. Oggi Canapo del Boschetto sopravviveva: rimanevano alcuni pescatori e coltivi integrati da cacciagione. In quei giorni la maggior parte degli uomini e delle donne più robuste avevano lasciato il villaggio, impegnati in una battuta di caccia nelle terre del nord. Qui rimanevano solo vecchi e bambini; per questo il luogo sembrava quasi abbandonato.
Laslo, il quale stava componendo una melodia flautata, si rivolse a Daneo “messer borgomastro ma questi paeselli sono intrisi di miti e leggende. Sicuramente anche Canapo ne conserverà qualcheduna nelle sue radici. Magari potrei ricavarne una grande ballata…”
Daneo sorrise all’ospite. Certo, anche Canapo del Boschetto rispettava questa regola. Assunse un tono formale, come un maestro che, interpellato, declara la lezione ai propri discepoli: si narra che in tempi remoti Ars Ka Satr, il più grande e potente drago d’argento del Norwold, dopo una spaventosa lotta con numerosi e spietati draghi rossi, si fosse rifugiato nei pressi del villaggio. Egli aveva profonde ferite e un avo del borgomastro, valente chierico, si protese in soccorso e cure al possente Ars. Tutti gli abitanti di Canapo si mobilitarono per aiutare lo splendido essere al punto che, il drago, dopo essersi pienamente ristabilito, si trattenne per mesi nei pressi del borgo, aiutando i propri residenti e trascorrendo intere giornate in furiosi combattimenti nel gioco degli scacchi con il suo grande amico chierico.
Un mesto giorno, però, dovette abbandonare la sua serena alcova , richiamato dalla sua posizione e dalle responsabilità della propria carica. Al momento di lasciare Canapo, Ars Ka Satr promise all’avo che, prima di morire, avrebbe celato, nel luogo ove i due contendenti erano soliti lottare sulla scacchiera, il suo cuore in modo che Canapo del Boschetto avrebbe sempre beneficiato della protezione del più grande drago d’argento.
Alla morte di Ars furono molti a cercare questo assai prezioso dono ma ogni ricerca risultò sempre vana.
Il nano Mizar sorrise ironico “non mi pare che questa protezioni sia stata poi molto efficace borgomastro. Il villaggio si sta sempre maggiormente impoverendo e spopolando. Non mi sembra un grande aiuto…”
“Questo è vero, messere” rispose Daneo “bisogna però precisare per cosa si intende per protezione: molti, tra gli abitanti umani di Canapo, sono deceduti dopo aver superato abbondantemente il secolo di vita e nessuna malattia o pestilenza ha mai colpito il villaggio. Inoltre qui si raggiunge la senile età con buon vigore fisico o mentale. Io stesso, la prossima primavera aggiungerò il terzo anno alle mie nove decadi. Ciò non mi sembra cosa di poco ordine…”
I presenti osservavano stupiti il loro ospite. A stento, Daneo, borgomastro di Canapo del Boschetto, dimostrava oltre le sette decadi.
L’anziano sorrise compiaciuto “vi vedo abbastanza attoniti, cari ospiti. Come ho detto, dipende da che cosa si intende per protezione… Però, ora che rammento, è un fatto veramente curioso…”
“Curiosso messser Daneo?” Gli occhi di Selidor Sibilescu si strinsero, assumendo una foggia interrogativa.
“Già! Curioso. E’ la seconda volta che, in pochi giorni, racconto questa leggenda. Anche quella ragazza era molto interessata alle leggende di questi luoghi. Veramente curioso.”
Hjona ebbe un repentino scatto, balzando in piedi come se un intenso fuoco stesse bruciando le sue terga.
“messer Daneo mi può descrivere quella ragazza? E quando è giunta in questi luoghi?
Daneo riaccese lentamente la sua pipa, mentre gli occhi sondavano la memoria: circa due giorni prima, una giovane donna, molto bella, alta dai fluenti capelli castani e dai profondi occhi scuri giunse al villaggio. Era accompagnata da un essere assai lugubre, alto e scarno, completamente vestito di nero e il viso occultato da una pesante sciarpa scura e un cappellaccio di peltro. Erano solo di passaggio e sembrava avessero molta fretta. La donna si presentò come una studiosa, specializzata nelle leggende e miti di Oceansend. Stava percorrendo le terre del granducato per raccogliere informazioni su narrazioni fantastiche che riguardassero i grandi draghi del Norwold. Il borgomastro, affascinato dalla cortesia e dalla incantevole bellezza della donna, le narrò integralmente la leggenda di Ars Ka Satr.
Mizar proruppe in un mugolio di rabbia “Giocati!”
“messere ma quale è il luogo ove il grande drago d’argento avrebbe celato il proprio cuore?” Chiese una preoccupata Ilia.
“Anche questo è stranamente coincidente con la vostra visita: esattamente dove sorge l’abitazione di Berta!”
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IX. Un buco… nell’acqua
Una grande vampata investì i tre compagni fa-cendo evaporare l’acqua intorno allo scoglio. Le folte sopraciglia e la barba del nano emanavano un intenso fumo mentre dei vasti arrossamenti imporporavano visi e mani di Hjona e Ilia.
“Stramaledetto testardo, ottuso, stolto, cocciuto, cervice di granito, presuntuoso, borioso, arrogan-te…” Sul volto dell’elfa si sovrapponevano il vermiglio dell’ira al rossore della scottatura.
Gli altri, attirati dall’intensa luce della fiammata e dalle urla dell’elfa raggiunsero la spiaggia. Mizar, scuro in volto (per quanto potessero esserlo sotto le bruciature) cercava di salvare i propri peli da un principio d’incendio…
“Ehi, guardate. C’è un buco… nell’acqua!” Il volto del ranger non esprimeva ironia ma un tono di stupore: dove era situato lo scoglio ora appariva una perfetta cavità circolare. L’acqua era immota intorno al foro che misurava un diametro di circa sette spanne.
“Ohibò, quessta ssì che è una ssorpressa! Al fine la nosstra trassferta non è sstata… un buco nell’acqua”.
Ilia tirò fuori dalla propria bisaccia un piccolo contenitore in coccio dal cui interno trasse un un-guento dalla molle consistenza. Spalmò il prepa-rato sulle parti ustionate passando il recipiente a Hjona. Il nano rifiutò, con disdegno, l’offerta an-cora dimesso dall’azione compiuta.
Merol si avvicinò allo strano foro: “Qui c’è un pozzo, sembra quasi un cunicolo di ventilazione. C’è dell’aria che proviene dal basso. E’ incredibile: l’acqua intorno al pozzo è perfettamente immobi-le, come fosse ghiacciata “e infilando un dito” ma è liquida e… bagnata”.
Il nano, ricomposto nell’orgoglio si avvicinò al ranger. “Scendo per primo; non mi farò di nuovo prendere in contropiede”. Detto questo si tuffò letteralmente all’interno della cavità.
Un sordo tonfo sgorgò dal buco, seguito da una netta imprecazione nanica.
La voce di Mizar giunse con un cavernoso eco “è abbastanza profonda ma, con attenzione, è a por-tata di salto”.
Ad uno ad uno i compagni scesero. Solo il bardo e il borgomastro rimasero in superficie, per evitare pessime sorprese.
La flebile luce di una candela dell’elfa illuminava, a stento, una stanza quadrata, completamente scavata in una roccia dalla solida consistenza.
Nonostante la leggera ventilazione, l’aria, pregna d’umidità, conservava il grave odore di tempi immoti. La lanterna di Selidor diede consistenza alla luce di Ilia, rivelando la pregevole fattura del-la costruzione. I muri del locale erano perfetta-mente lisci, segno di un’accurata lavorazione. Al centro di una delle pareti nuovamente il disegno, stilizzato, dell’occhio di un drago, la cui pupilla emanava un fioco color azzurro, probabilmente stimolato dalla luce degli esploratori.
Selidor Sibilescu esaminò attentamente, evitando però anche di sfiorarlo, il disegno. “C’è della ma-gia qui! Magia antica, molto antica e buona”.
L’uomo distese la mano in direzione del disegno inciso, tenendo il palmo ben aperto e le dita tese. Un litanioso mormorio permeò l’aria seguito da un secco suono metallico.
La sezione intorno al disegno scattò in avanti di un paio di dita. Era un quadrato di due spanne di lato. Hjona afferrò la sezione attirandola a se. Questa scorse per circa un piede e mezzo.
L’interno era cavo.
Ilia immerse velocemente la mano dentro, estra-endo una piccola statua finemente raffigurante una testa di un drago d’argento.
Ars Ka Satr!
“Ecco cosa custodiva quella povera donna e ciò che voleva proteggere. Il ricordo di quel potente essere. La testimonianza di amicizia tra il signore dei draghi e questo villaggio”.
“Non ne ssarei cossì ssicuro, messser Merol”. Lo sguardo di Selidor si posava incuriosito sull’og-getto prezioso. “Pensso che quessto articolo non ssi limiti a rappressentare un pegno di amicizia. Per me c’è molto più dietro quessto ssimbolo ed è certamente collegato a quella piccola sscatola ssot-tratta all’osste. D’altronde i due fratelli ssi ssono rivelati, entrambi, cusstodi di missteriossi ogget-ti”.
“Non ci resta che chiedere lumi al nostro nuovo amico borgomastro. Magari lui potrà aiutarci a dissipare le tenebre che avvolgono questi eventi”.
Ma la voce di Ilia non suonava piena di convin-zione.
Ad uno ad uno i compagni risalirono in superfi-cie, aiutati dal borgomastro e dal bardo.
Hjona risalì per ultimo. Non appena il mezz’elfo uscì dall’acqua riapparve, al posto del pozzo, lo scoglio. Ma solo per pochi istanti: la roccia iniziò a vibrare e si inabissò celermente in un acqua spu-mosa sigillando, per sempre, la cavità sottostante.
Ilia mostrò la reliquia in argento a Daneo. Il vec-chio la prese tra le mani tremanti, segno di un ri-spetto che l’uomo conservava verso il grande dra-go.
“Si! E’ proprio la raffigurazione di Ars Ka Satr, si-gnore dei draghi d’argento e grande amico del nostro villaggio. Egli quindi non mentiva: ha ve-ramente lasciato un segno tangibile della sua ami-cizia e protezione.”
Hjona contemplò la raffigurazione in argento “E’ uno splendido oggetto e la povera Berta ha pagato con la propria vita la sua custodia. Come è acca-duto a suo fratello, Crunch. Ora abbiamo l’oggetto mentre i cattivi soggetti hanno la scatola. Un pa-reggio; ma qual è la partita che stiamo giocando? A che cosa servono la scatola e la raffigurazione del drago? Sicuramente i due oggetti sono poten-temente correlati e uno è in funzione dell’altro, vi-sto anche l’accanimento e la spietatezza con cui la donna e il suo ombroso compagno li hanno cerca-ti. Ma quali funzioni o doti hanno? Tanti quesiti e pochi responsi…”
“Io posso dissipare un po’ la nebbia di questa i-gnoranza… amici miei. Od almeno indicare il mezzo per arrivare a trovare delle risposte”. Il borgomastro Daneo emanava un sorriso compia-ciuto.
“Messser borgomasstro, pendiamo letteralmente dalle vostre ssagge ed amichevoli labbra”. Selidor Sibilescu proruppe in un sorriso adulatore, com-piendo un inchino appena accennato.
Daneo restituì inchino e sorriso “dovrete, per sventura, ripercorre i vostri passi e rientrare in Oceansend. Giunti alla città, cercate la dimora del saggio Relta detto “l’Antico”. Egli è un profondo conoscitore di tutto il Norwold, delle sue leggen-de e della storia e dislocazione dei draghi su que-sti territori. E’ anche un mio paesano e sincero a-mico. Egli ha conosciuto personalmente il grande drago d’argento poiché solo da pochi lustri ha la-sciato il villaggio per approfondire lo studio sui nobili esseri nella capitale.
Ma attenti! E’ una persona estremamente schiva e sospettosa. Anche per questo quegli esseri malva-gi non hanno saputo della sua esistenza.
Una mia personale missiva, oltre la mappa per raggiungere Relta, vi aprirà la porta alla sua abitazione e collaborazione”.
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Canto per Tomeo
Onoranza Funebre
Tra impervie rupi
nelle nevi perenni
tra orridi cupi
celati nei millenni
riposi cavaliere
libero da affanni.
Possano le ere
trascorrere leggiadre
nei secoli a venire.
Ti sia la terra, madre
in abbraccio di tenerezza
e l’infinito cielo, padre.
Sia la tua corazza
sempre splendente
e una lieve brezza
sul volto sorridente
ti faccia da lenzuolo.
Nel sole scintillante
d”aquile un grande stuolo
ti rendano omaggio
mentre riposi nel sacro suolo
Tu che di coraggio
ardimento ed onore
ne hai fatto retaggio
per gli uomini di cuore.
Ora che il fato
ha preteso dolore
e l’ultimo filato
di questa esistenza
è stato tessuto
accetta l’essenza
del nostro amore
che di speranza
possa riempire
anima e cuore.